A Kalongo ho imparato a guardare diversamente

Paola Previtali, medico specialista in Medicina d'Urgenza dell'Ospedale Niguarda, racconta la sua esperienza in prima persona

È difficile trovare le parole giuste per descrivere il mio primo contatto con l’Africa… Quella a ore di macchina dalla “civiltà”… Quella da cui, forse, dovremmo tornare per imparare un po’ di vera civiltà.

Il mio arrivo alla guest house di Kalongo, nel nord Uganda, è stato di sera, nel buio. Ero stanca e un po’ disorientata, accolta da un cielo stellato e da un gracidare di rane memorabile. Me ne sono andata nove giorni dopo, all’alba, con addosso una nostalgia che, probabilmente, è quel “mal d’Africa” di cui tutti parlano ma che non si comprende davvero finché non lo si prova.

In mezzo, c’è stata una settimana intensa, che forse ha lasciato qualcosa agli infermieri, alle ostetriche e ai medici che abbiamo incontrato — ma che di certo ha lasciato e insegnato moltissimo a me.

Mi ha insegnato che per essere appassionati, curiosi, dedicati al proprio lavoro, non servono grandi strumentazioni o tecnologie avanzate. Ho incontrato operatori sanitari che lavorano con una dedizione invidiabile, quella che noi, spesso, abbiamo perso dietro alla burocrazia e ai tecnicismi. Professionisti desiderosi di imparare, di migliorarsi, per offrire sempre di più ai propri pazienti.

Un brillante infermiere della Terapia Intensiva, alla nostra proposta di venire in Italia qualche giorno per conoscere la nostra realtà, ha risposto che preferisce prima specializzarsi ulteriormente, per comprendere meglio ciò che vedrà e poterne fare davvero tesoro. Un grande insegnamento, soprattutto per noi medici, che a volte saremmo pronti a scavalcare tappe pur di raggiungere una posizione di potere, a prescindere dal merito.

Mi ha insegnato che la semeiotica funziona ancora, ed è utile. Quella straordinaria capacità di visitare, osservare, ascoltare il paziente, di ricercare segni e sintomi: ciò che noi tendiamo a trascurare, rifugiandoci dietro montagne di esami strumentali.

E mi ha sbattuto in faccia la realtà delle morti per HIV, per malaria, e purtroppo anche per malnutrizione. Sì, lo sappiamo. Lo sentiamo in TV, lo leggiamo sui giornali. Ma vederlo è un’altra cosa.

L’ospedale di Kalongo è una realtà che funziona, che offre sostegno e speranza a tanti pazienti e alle loro famiglie. Famiglie che campeggiano nei giardini e nei cortili per prendersi cura dei propri cari durante il ricovero, lavando i loro vestiti, cucinando in una grande cucina all’aperto. E pensare agli anziani lasciati soli nei nostri reparti…

L’ospedale di Kalongo è una realtà che lavora. E tanto. Ma ha ancora bisogno di crescere. Ha bisogno, prima di tutto, di formazione. I medici sono pochi, e gli infermieri fanno un lavoro straordinario, spesso oltre le proprie possibilità e competenze. Devono e vogliono specializzarsi, e hanno assolutamente la stoffa per farlo.

C’è certamente bisogno anche di materiale specialistico, ma che sia mirato, portato con un obiettivo chiaro e accompagnato da una formazione dedicata.

Il lavoro di formazione avviato da alcuni colleghi di Niguarda credo possa essere molto utile. Le prime missioni ci sono servite per prendere confidenza, per prendere le “misure” reciproche. E credo che lo stesso sia valso per loro. Ora dobbiamo costruire un percorso strutturato, disegnato sulle loro esigenze. Noi siamo pronti e volenterosi. E loro lo sono anche più di noi.

L’Africa che ho conosciuto a Kalongo mi ha sbattuto in faccia la mia fortuna. Io, europea, italiana, che non soffro la malnutrizione, che dormo in un letto pulito, che se contraessi l’HIV probabilmente non ne morirei.

Ma mi ha anche insegnato a sorridere. Perché lì funziona così: ci si sorride, sempre, quando ci si incontra.

Formazione medica a Kalongo: l’impegno della Fondazione Ambrosoli

In Uganda, dove ci sono solo 1,7 medici e 13 infermieri ogni 10.000 abitanti, la formazione del personale sanitario locale è una sfida continua, ma anche un’opportunità di cambiamento concreto.

Per questo, la Fondazione Ambrosoli investe in programmi di aggiornamento e scambio professionale, coinvolgendo specialisti dall’Italia in percorsi di crescita condivisa.

Ad aprile 2025, grazie alla collaborazione con l’Ospedale Niguarda di Milano, un team di dottoresse e infermiere della Terapia Intensiva è partito per Kalongo per proseguire la missione di formazione che alcuni colleghi avevano avviato lo scorso novembre: condividere competenze, rafforzare la neonata Unità di Terapia Subintensiva e supportare i colleghi ugandesi nella gestione dei pazienti più critici.
Per una settimana, tra formazione, pratica e confronto, hanno lavorato fianco a fianco con il personale dell’ospedale, affrontando casi complessi e approfondendo le procedure per la gestione delle emergenze, dai traumi alle ustioni.

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