In questi giorni si è raggiunto un grande traguardo: l’OMS ha approvato il vaccino contro la malaria per l’uso di massa nei bambini. Un cambiamento epocale nella lotta alla malaria che permetterà di salvare decine di migliaia di piccoli. Perché la malaria colpisce soprattutto i bambini: su 400.000 vittime di malaria ogni anno, il 94 per cento si registra in Africa e in due casi su tre si tratta proprio di bimbi.

L’Uganda ha il più alto tasso di incidenza della malaria nel mondo, con 478 persone su 1000 abitanti colpite all’anno. Basti pensare che nella stagione delle piogge, terreno fertile per la malaria, l’80% dei bambini che vengono ricoverati nel reparto di pediatria dell’ospedale di Kalongo sono affetti da malaria. Il record è stato raggiunto nel 2019 quando da giugno a dicembre ne sono stati assistiti 5.924. Situazioni queste che mettono il reparto sotto pressione, con una media di 150 bambini visitati al giorno e sottoposti in caso di positività a terapia antimalarica. Medicinali che l’ospedale si trova spesso a dover acquistare autonomamente così come il materiale necessario, perché nonostante le forniture del Governo, si trova spesso senza scorte.

Il vaccino, l'unico per cui negli studi precedenti sia stata dimostra una buona efficacia al momento si sta testando in un programma pilota in Ghana, Kenya e Malawi: dal 2019 sono state inoculate oltre 2,3 milioni di dosi e l'analisi dei risultati mostra che il siero, oltre a essere sicuro, riduce del 30 per cento la malaria grave. Lo studio nei tre Paesi pilota prosegue per valutare l'impatto del vaccino sulla mortalità nel lungo periodo. 

Questo vaccino, dicono gli esperti, non è uno scudo infallibile e quindi non riuscirà a sradicare la malaria, ma sicuramente potrà cambiarne drasticamente il corso, aiutando a proteggere i tanti piccoli che non riescono ad essere tutelati in altro modo, per esempio con l'uso corretto delle zanzariere attorno al letto; inoltre, se viene utilizzato assieme agli antimalarici il rischio di ricovero e morte dei bimbi si riduce del 70 per cento.

Un risultato che accende la speranza.

Una serata in memoria di Padre Giuseppe e Paolo Ambrosoli per ricordare l’importanza del diritto alla salute. Un’occasione per guardare al futuro grazie all’opera che padre Giuseppe ci ha lasciato in eredità: un “piccolo miracolo” che salva vite umane e accompagna la vita e la crescita di Kalongo.

Grazie a Lions Club Como e Lions Club Plinio il Giovane per essere al nostro fianco!

15 Ottobre 2021
ore 19:45
Sala bianca del Teatro Sociale - Como

 

CARI AMICI,

il 6 giugno scorso il Presidente Museveni ha decretato l’inizio di un nuovo lockdown a causa dell’improvviso aumento dei contagi da Covid in Uganda. Gli ultimi dati ufficiali disponibili sul sito del Ministero della Salute Ugandese riportano oggi 119.915 casi positivi, a fine luglio erano 55.511. L’arrivo delle varianti più aggressive ha accelerato il propagarsi del virus in particolar modo tra i giovani. Ciò che preoccupa di più ora è la mancanza di vaccini. Al 27 agosto, mentre in Europa il 46% della popolazione è stata vaccinata, in Africa solo il 2,5% ha ricevuto il vaccino. Oggi le persone vaccinate in Uganda sono 1.376.986 su una popolazione di quasi 44 milioni di persone. All’ospedale di Kalongo tutto il personale è stato vaccinato ma la popolazione locale resta scoperta e indifesa e l’ospedale ancora più solo e isolato. Non solo per il lockdown. La crescita repentina dei casi in Uganda ha portato alla saturazione dei pochi posti letto disponibili nei centri sanitari designati alla cura dei malati di Covid. L’ospedale deve perciò prendersi cura anche dei casi più gravi senza poter disporre di una terapia intensiva né sub-intensiva.

L’80% dei pazienti ricoverati finora ha avuto bisogno di ossigenoterapia ma la fornitura di ossigeno rimane una sfida immane per il nostro ospedale. Non è semplice neppure garantire un costante rifornimento di farmaci e di dispositivi di protezione. Per ottimizzare le risorse e risparmiare tamponi vengono testate solo le persone che mostrano sintomi riconducibili al Covid, senza la possibilità di individuare eventuali pazienti positivi asintomatici.

Sono soprattutto le attività di cura sul territorio, che rappresentano la sola possibilità di accesso alla salute per migliaia di persone, ad aver risentito dell’improvvisa escalation di Covid. Le misure restrittive introdotte dal governo per arginare il diffondersi del virus hanno causato una drammatica diminuzione degli accessi ai servizi sanitari di base. Anche a Kalongo i ricoveri in ospedale sono calati del 35%. Nell’ultimo anno il 75% dei bambini dimessi dall’ospedale non ha effettuato le visite di controllo post-ricovero con gravi rischi per la loro salute i cui effetti ad oggi non sono quantificabili. Nonostante il calo delle entrate dovuto al crollo degli accessi, l’ospedale ha gestito l’emergenza Covid senza gravare sulle famiglie, a differenza di molti altri ospedali privati che stanno aumentando i prezzi delle prestazioni rendendo ancora più difficile alle persone più povere l’accesso alle cure. L’ospedale sta oggi lavorando a stretto contatto con l’OMS, che ne ha riconosciuto il lavoro svolto per la comunità, per poter ottenere supporto finanziario dal Governo come centro trattamento Covid. La Fondazione continua con impegno e grazie all’aiuto di tutti voi a sostenere l’ospedale perché possa giornalmente prestare cura e assistenza alla popolazione senza interrompere servizi importanti per mancanza di risorse.

Sapervi accanto è oggi più importante che mai.

Giovanna Ambrosoli

Se i ricoveri complessivi sono calati del 19%, il calo più significativo e preoccupante riguarda gli accessi al reparto di maternità, che sono diminuiti del 56%, mentre i parti del 44%. Sono questi i numeri che ci giungono da Kalongo e che ci danno una fotografia preoccupante dell’impatto che la pandemia ha sulla vita quotidiana della comunità. La diminuzione degli accessi alle visite prenatali, conseguenza delle rigide misure di contenimento del Covid, dell’aumentata povertà che impedisce alle donne di potersi pagare il viaggio in ospedale, e della paura del contagio, ha creato una diminuzione delle terapie preventive somministrate, con inevitabili conseguenze sulla salute del feto e delle future mamme.

Una riduzione così alta dei parti significa un incremento di parti non assistiti, con conseguenti rischi aumentati di mortalità materna, mortalità neonatale, sviluppo di gravi complicanze durante il parto che possono comportare disabilità permanenti sia per la partoriente che per il nascituro.

Ma in mezzo a questo momento difficile e sconfortante, ci sono anche tante storie che grazie alla tenacia e alla resilienza dei medici e dello staff ospedaliero, unito al coraggio e alla forza di queste mamme, arrivano a lieto fine e fanno guardare al futuro con spiragli di positività.

Come la storia di Esther, una giovane donna di soli 19 anni alla sua prima gravidanza che è giunta all’ospedale di Kalongo dal Komotor Health Center di Agago perché in travaglio e con sintomi da Covid. Arrivata al Dr Ambrosoli Memorial Hospital, effettuato immediatamente il test è risulta positiva ed è stata ricovata nel reparto in isolamento. Per lei è stata creata una “sala parto speciale” nello stesso reparto, dove è stata costantemente assistita da un’ostetrica e dal team medico che ha iniziato le cure per il Covid. Ma purtroppo il travaglio di Esther, a causa probabilmente della febbre molto alta, è andato avanti 2 giorni senza riuscire a seguire il corso naturale e anzi sviluppando sofferenza fetale. Lo staff medico non si è perso d’animo e ha prontamente deciso per un parto cesareo di emergenza per salvare la vita della mamma e del bambino. Tutto è andato per il meglio, Esther si è ripresa molto bene e con lei anche il suo bambino e sono stati dimessi qualche giorno fa dall’ospedale.

Questa è Kalongo, questa è la forza del Dr. Ambrosoli Memorial Hospital che lotta ogni giorno per la gioia della vita!

Grazie per la sua presenza, per il contributo prezioso con cui ci ha accompagnato in questi anni di lavoro e impegno fin dalla nascita della Fondazione per portare avanti l’opera di padre Giuseppe a Kalongo.

L’entusiasmo, la competenza e la dedizione in tutto quella faceva ci sono stati di grande sostegno sempre e ci hanno aiutato anche nei momenti difficili. Ci mancherà come amico, come professionista e come Consigliere.

E’ stato un privilegio averla accanto a noi.

La variante delta si sta diffondendo tra gli africani a una velocità di diffusione impressionante: 225 volte maggiore rispetto alla prima ondata del virus originario in Africa. L’Uganda presenta un elevato numero di casi nella fascia di età under 40, con una mortalità in aumento. La maggior parte dei malati richiedono ricovero nei reparti di terapia intensiva o sub-intensiva. La domanda di ossigeno, con pazienti che consumano tra le 4 e le 6 bombole al giorno contro le 1-2 bombole dei pazienti ricoverati in terapia sub-intensiva per altre patologie, è aumentata esponenzialmente.

All’ospedale di Kalongo, COVID19 - centro di riferimento per i casi lievi e moderati, il tasso di positività è oggi al 22%, ma i casi sono certamente molti di più dato lo scarso numero di test a disposizione.

“Il nostro algoritmo di test si rivolge principalmente solo alle persone che mostrano sintomi simili a COVID per ottimizzare le scarse risorse di test che abbiamo” – ci racconta il dott. Smart, direttore dell’ospedale – “Questo significa che i positivi che non mostrano sintomi non si riescono a raggiungere e inoltre non si riescono a fare i test su coloro che sono entrati in contatto con persone contagiate. A tutti i contatti tracciabili consigliamo di auto-isolarsi per almeno 10 giorni. La tracciabilità è molto complessa e difficoltosa da mettere in pratica nelle nostre comunità di villaggi isolati

Da giugno sono stati ricoverati e curati 20 pazienti, l'80% ossigeno-dipendente, ma grazie alla tenacia dei medici e del personale dell’ospedale solo 3 pazienti sono deceduti.

Per affrontare questa pandemia, che si aggiunge ad una situazione sanitaria già precaria, l’Ospedale ha potuto garantire le cure grazie al supporto della Fondazione Ambrosoli, non addebitando alcun costo ai pazienti, a differenza molti altri ospedali del Paese.

Per aiutare l’ospedale a fronteggiare la pandemia, la Fondazione ha stanziato dal 2020 circa € 82.000 per la fornitura di mascherine, guanti, disinfettanti, strumentazioni per la respirazione. A voi che ci sostenete e che ci siete vicino va il nostro grazie!

La situazione non potrebbe essere più drammatica, non soltanto nel presente, ma anche in prospettiva.

La campagna vaccinale in Africa non sta seguendo i ritmi sperati, soltanto l’1% della popolazione è stato completamente vaccinato.

Abbiamo di fronte a noi un percorso difficile. Mancano farmaci, dispositivi medici e strumentazioni di prima necessitàquesto l’appello che arriva dal Dr. Smart – “con la velocità di propagazione del virus le riserve degli ospedali si sono esaurite, anche qui a Kalongo. Il nostro reparto di isolamento è vecchio, non è adatto e sicuro alla cura dei pazienti. Ma soprattutto la fornitura di ossigeno rimane molto impegnativa. E’ rischioso e non possiamo fare affidamento sui concentratori che spesso si rompono a causa dell’uso costante. Per questo spesso ricarichiamo le bombole di ossigeno presso il Lacor Hospital a Gulu ma questa soluzione aggrava ulteriormente il costo delle cure che l’ospedale deve sostenere per curare i pazienti COVID". 

Un impatto che si riversa su tutto l’ospedale: perché i bambini continuano a nascere, aumentano i casi prematuri, la malaria e la malnutrizione, la tubercolosi non danno tregua.

Non lasciamoli soli!

Si contano 90.656 casi confermati con 68.241 ricoverati e nell’ultimo mese il Covid ha provocato più vittime rispetto all’anno precedente. Numeri che per un paese che vive in povertà e con un sistema sanitario precario fanno la differenza. Con la rapida diffusione della variante Delta, il 66% dei casi gravi in soggetti di età inferiore ai 45 anni è stato attribuito proprio alla variante. La pandemia ha, però, interessato duramente tutta la popolazione, comprese le comunità che vivono nelle regioni più isolate del paese che sono toccate da una crisi non solo sanitaria, ma anche economica e sociale. Proprio come qui a Kalongo nel Nord del paese, un’area poverissima e isolata. 

Le famiglie vivono principalmente di agricoltura di sussistenza e dove, con le restrizioni imposte, gli spostamenti nel Paese sono difficili, portandosi dietro un drastico calo degli scambi commerciali che ha pesantemente influito sull’economia. I risparmi mensili accumulati dalle famiglie sono pressoché dimezzati, e le spese totali su base mensile si sono ridotte del 20% nell’ultimo anno. Anche la composizione delle singole spese è cambiata: rispetto all’anno precedente, le persone hanno speso meno per cibo, vestiti e attività produttive, mentre i costi sostenuti per la salute sono aumentati, con anche numerose difficoltà per accedere ai servizi sanitari di base. 

Gli effetti della crisi sull’utilizzo dei sistemi sanitari sono evidenti: la maggior parte della popolazione preferisce evitare o posticipare le cure in caso di disturbi lievi, ma anche una parte circa il 20% si dice disposto a posticipare visite e ricoveri. 

Dopo un anno di pandemia gli effetti della crisi sulle comunità locali sono pesanti e riguardano diversi aspetti della vita di queste persone. E questa nuova ondata lascia poche spazio alla speranza di un ripresa ad una normalità che in tutto il mondo auspichiamo, ma che in questi paesi significa solo cercare di sopravvivere. 

 

Restaci accanto, l'ospedale di Kalongo ha bisogno del nostro aiuto subito!

Evelyn ha 28 anni ed è alla sua terza gravidanza.  Quando entra in travaglio, decide di partorire nel vicino Health Center. I due parti precedenti sono stati normali ed anche questa gravidanza è proceduta regolarmente. Ma questa volta le cose non si mettono bene. Dopo la nascita del bambino la placenta non viene espulsa, Evelyn perde molto sangue, la giovane ostetrica fatica a effettuare la rimozione manuale. Ci riesce ma la paziente ha bisogno di sangue. Caricata insieme al suo bambino in ambulanza, all’arrivo in ospedale è incosciente. Il personale si affretta ad effettuare le manovre di rianimazione mentre il neonato viene inviato in neonatologia. Finalmente la paziente riprende coscienza, è stabile. Nei giorni successivi la diagnosi di malaria aggrava la sua anemia, ma Evelyn sembra passare attraverso tutte le sue sfortune con una invidiabile tenacia.   

Purtroppo dopo un paio di giorni in cui sembrava essersi ripresa, Evelyn ha di nuovo febbre alta, la pancia è gonfia, ha tosse e respira a fatica. Pensiamo ad una febbre puerperale, probabilmente indotta dalle manovre ostetriche. Iniziamo gli antibiotici, ma Evelyn fa sempre più fatica a respirare. Non abbiamo dubbi, facciamo il test rapido per il covid 19. Con sgomento di tutti il test risulta positivo. 

Mi chiamano, ormai è domenica sera, non possiamo inviare la paziente a Gulu, dove esiste il centro di isolamento. Organizziamo quindi il trasferimento nella nostra area di isolamento. Prepariamo l’ossigeno, mettiamo delle infusioni. Con nostro sollievo la sua saturazione sembra reggere bene.  Ma se il respiro si mantiene con parametri normali, la situazione addominale non si sblocca. Forse ci sara bisogno di un intervento chirurgico. Lo spieghiamo alla paziente ed ai parenti, sono disperati. Ricontattiamo Gulu che ci informa che non hanno possibilità di chirurgia, nè tanto meno del materiale sufficiente per proteggere il ventilatore.  

Mi sento sola, ci sentiamo soli. Mi passano per la mente le immagini delle nostre terapie intensive, mi risuonano nella testa i bip dei monitors, rivedo il team di medici che si consulta. Giro lo sguardo nella stanza dove Evelyn si è ora assopita, la flebo, il concentratore di ossigeno in standby, il saturimetro. Penso a questa giovane vita che affronta una battaglia cosi grande, contro le complicanze ostetriche e contro il covid. Penso tra me “Forza Evelyn dobbiamo farcela!” 

 Carmen Orlotti 

Medico chirurgo all’ospedale di Kalongo 

 

Uganda, una nazione dalle straordinarie bellezze paesaggistiche e faunistiche, abitata dalla popolazione più giovane del mondo con intrecci di culture diverse, è infatti considerato uno dei paesi più accoglienti verso i migranti. Molti la chiamano la Perla d’Africa.

Susi Rossini, artista italo-inglese, ci accompagna in un viaggio alla scoperta dell’Uganda, con la mostra fotografica Journey to Uganda, dal 15 al 30 settembre a Panzano in Chianti.

“Nel 2013 ho avuto la grande fortuna di fare un viaggio in Uganda per realizzare un photo reportage per progetti di Oxfam GB. La natura lussureggiante di questo Paese e il carattere genuino dei suoi abitanti mi hanno subito catturata. Abbiamo attraversato l’Uganda da sud a nord passando per il Nilo impetuoso, fino ad arrivare ad un piccolo villaggio Kitgum. Questa mostra vi porterà in Uganda, alla scoperta di un Paese veramente affascinante. Sono molto felice di poter proporre questa iniziativa a favore della Fondazione Ambrosoli per sostenere il Dr Ambrosoli Memorial Hospital a Kalongo e la sua scuola di ostetricia fondati da padre Giuseppe Ambrosoli” commenta Susi Rossini.

Una passione quella della fotografia di Susi che nasce da subito quando inizia a fotografare all’età di 7 anni. La fotografia di Susi Rossini, in arte Susimagin, cattura le transizioni di luce tra il giorno e la notte, riflessi nell’acqua, il movimento nella natura e nel paesaggio. La sua ispirazione nasce soprattutto dall’arte astratta, la musica jazz, giochi di luce ed ombra, riflessi e il viaggio. Dal 2002 fino ad oggi Susi espone in modo continuativo nella città in cui vive: prima Amsterdam poi Genova, Londra, Faversham, Whitstable, Firenze.

Mostra Fotografica 15-30 settembre 2021

Associazione Culturale Amici di Panzano

Via XX Luglio 7 – Panzano in Chianti

I proventi della mostra saranno destinati a sostenere i progetti della Fondazione Ambrosoli destinati all’ospedale e alla scuola di ostetricia a Kalongo, in Uganda

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