Evelyn ha 28 anni ed è alla sua terza gravidanza.  Quando entra in travaglio, decide di partorire nel vicino Health Center. I due parti precedenti sono stati normali ed anche questa gravidanza è proceduta regolarmente. Ma questa volta le cose non si mettono bene. Dopo la nascita del bambino la placenta non viene espulsa, Evelyn perde molto sangue, la giovane ostetrica fatica a effettuare la rimozione manuale. Ci riesce ma la paziente ha bisogno di sangue. Caricata insieme al suo bambino in ambulanza, all’arrivo in ospedale è incosciente. Il personale si affretta ad effettuare le manovre di rianimazione mentre il neonato viene inviato in neonatologia. Finalmente la paziente riprende coscienza, è stabile. Nei giorni successivi la diagnosi di malaria aggrava la sua anemia, ma Evelyn sembra passare attraverso tutte le sue sfortune con una invidiabile tenacia.   

Purtroppo dopo un paio di giorni in cui sembrava essersi ripresa, Evelyn ha di nuovo febbre alta, la pancia è gonfia, ha tosse e respira a fatica. Pensiamo ad una febbre puerperale, probabilmente indotta dalle manovre ostetriche. Iniziamo gli antibiotici, ma Evelyn fa sempre più fatica a respirare. Non abbiamo dubbi, facciamo il test rapido per il covid 19. Con sgomento di tutti il test risulta positivo. 

Mi chiamano, ormai è domenica sera, non possiamo inviare la paziente a Gulu, dove esiste il centro di isolamento. Organizziamo quindi il trasferimento nella nostra area di isolamento. Prepariamo l’ossigeno, mettiamo delle infusioni. Con nostro sollievo la sua saturazione sembra reggere bene.  Ma se il respiro si mantiene con parametri normali, la situazione addominale non si sblocca. Forse ci sara bisogno di un intervento chirurgico. Lo spieghiamo alla paziente ed ai parenti, sono disperati. Ricontattiamo Gulu che ci informa che non hanno possibilità di chirurgia, nè tanto meno del materiale sufficiente per proteggere il ventilatore.  

Mi sento sola, ci sentiamo soli. Mi passano per la mente le immagini delle nostre terapie intensive, mi risuonano nella testa i bip dei monitors, rivedo il team di medici che si consulta. Giro lo sguardo nella stanza dove Evelyn si è ora assopita, la flebo, il concentratore di ossigeno in standby, il saturimetro. Penso a questa giovane vita che affronta una battaglia cosi grande, contro le complicanze ostetriche e contro il covid. Penso tra me “Forza Evelyn dobbiamo farcela!” 

 Carmen Orlotti 

Medico chirurgo all’ospedale di Kalongo 

 

Uganda, una nazione dalle straordinarie bellezze paesaggistiche e faunistiche, abitata dalla popolazione più giovane del mondo con intrecci di culture diverse, è infatti considerato uno dei paesi più accoglienti verso i migranti. Molti la chiamano la Perla d’Africa.

Susi Rossini, artista italo-inglese, ci accompagna in un viaggio alla scoperta dell’Uganda, con la mostra fotografica Journey to Uganda, dal 15 al 30 settembre a Panzano in Chianti.

“Nel 2013 ho avuto la grande fortuna di fare un viaggio in Uganda per realizzare un photo reportage per progetti di Oxfam GB. La natura lussureggiante di questo Paese e il carattere genuino dei suoi abitanti mi hanno subito catturata. Abbiamo attraversato l’Uganda da sud a nord passando per il Nilo impetuoso, fino ad arrivare ad un piccolo villaggio Kitgum. Questa mostra vi porterà in Uganda, alla scoperta di un Paese veramente affascinante. Sono molto felice di poter proporre questa iniziativa a favore della Fondazione Ambrosoli per sostenere il Dr Ambrosoli Memorial Hospital a Kalongo e la sua scuola di ostetricia fondati da padre Giuseppe Ambrosoli” commenta Susi Rossini.

Una passione quella della fotografia di Susi che nasce da subito quando inizia a fotografare all’età di 7 anni. La fotografia di Susi Rossini, in arte Susimagin, cattura le transizioni di luce tra il giorno e la notte, riflessi nell’acqua, il movimento nella natura e nel paesaggio. La sua ispirazione nasce soprattutto dall’arte astratta, la musica jazz, giochi di luce ed ombra, riflessi e il viaggio. Dal 2002 fino ad oggi Susi espone in modo continuativo nella città in cui vive: prima Amsterdam poi Genova, Londra, Faversham, Whitstable, Firenze.

Mostra Fotografica 15-30 settembre 2021

Associazione Culturale Amici di Panzano

Via XX Luglio 7 – Panzano in Chianti

I proventi della mostra saranno destinati a sostenere i progetti della Fondazione Ambrosoli destinati all’ospedale e alla scuola di ostetricia a Kalongo, in Uganda

Il presidente dell'Uganda Yoweri Museveni alcuni giorni fa ha reimposto un rigoroso blocco che include la chiusura delle scuole e la sospensione dei viaggi interdistrettuali per aiutare a contrastare un'ondata di casi COVID-19 nel paese dell'Africa orientale. Un nuovo lockdown colpisce l’Uganda. Una doccia fredda per tutti noi, a Kalongo come in Italia.

Il mese scorso le infezioni hanno iniziato a salire e i nuovi casi sono aumentati a causa delle varianti più aggressive come quella inglese, indiana e sud africana, in particolare tra i più giovani, alimentando i timori che il paese possa scivolare in una nuova ondata fuori controllo. L’annuncio del blocco dei trasporti, ha scatenato un movimento di studenti e lavoratori che ansiosi di tornare a casa, sono partiti da distretti dove il tasso di infezione è già altissimo, portando l’infezione nei loro villaggi.

Il virus ha iniziato a correre  all’improvviso e più veloce di prima in tutto il Paese: il tasso di positività è salito dal 2% al 17%. Sono 61.977 i casi positivi ad oggi, ma si teme che i numeri siano molti di più di quelli ufficialmente segnalati.

La D.ssa Carmen Orlotti chirurgo a Kalongo al Dr. Ambrosoli Memorial Hospital, ci aggiorna in tempo reale: Anche a Kalongo abbiamo iniziato a registrare i primi positivi. Abbiamo riaperto il centro per l’isolamento e il trattamento dei casi Covid. I primi pazienti ricoverati presentano un quadro tipico di insufficienza respiratoria con dipendenza dall’ossigeno. Ossigeno che noi possiamo erogare solo dai concentratori di ossigeno.  Il protocollo ministeriale prevede il trasferimento di tutti questi pazienti a Gulu, il centro di isolamento regionale più vicino, ma è già sovraffollato. Saranno giorni difficili quelli a venire. Fronteggiare un’epidemia senza aver tutti i mezzi per farlo al meglio espone il personale, i pazienti e le loro famiglie a rischi altissimi. Noi andiamo avanti, uno sguardo in alto a chiedere ancora una volta che p. Ambrosoli custodisca il suo ospedale e quanti vi lavorano o cercano aiuto”. 

Il personale di Kalongo fortunatamente è stato vaccinato, ma ora temiamo il propagarsi del virus tra pazienti e famiglie. La paura è che finiscano presto i posti letto negli ospedali, senza dimenticare che ci sono soltanto 218 posti in terapia intensiva a fronte di 44 milioni di abitanti. L’ossigeno scarseggia ovunque, i centri regionali di isolamento sono già al limite della loro capacità di accoglienza.

Il governo ha fatto numerosi sforzi per mettere in sicurezza il paese ma quello che manca davvero in Uganda sono i vaccini. Su quasi 2 miliardi di somministrazioni fatte nel mondo, solo 30 milioni di dosi (pari all’1%) sono arrivate in Africa. 

Secondo quanto afferma anche Matshidiso Moeti, direttore regionale per l’Africa dell’OMS, la minaccia di una terza ondata è reale e crescente nel continente considerato che la campagna vaccinale è sostanzialmente ferma: la previsione fatta per mesi dagli scienziati di tutto il mondo, secondo i quali la carenza di vaccini nei paese del terzo mondo avrebbe favorito nuove ondate di contagi e la nascita di nuove varianti, si sta purtroppo avverando.

Non lasciamoli soli! Siamo molto preoccupati ma consapevoli: dobbiamo aiutare l’ospedale a far fronte nel miglior modo possibile alla nuova ondata continuando a prendersi cura di chi ha più bisogno.

Il 14 giugno si celebra la Giornata mondiale del donatore di sangue, istituita dall’OMS. Un gesto semplice che può salvare molte vite, ma che in zone remote come l’Africa, e qui in Uganda, presenta ancora criticità in un sistema sanitario fragile. A Kalongo i beneficiari principali delle donazioni di sangue sono bambini con forme gravi di malaria, donne con emorragie post-parto, ma anche vittime di violenza di genere. E quando il sangue manca sono proprio loro a subirne le conseguenze.

La situazione in questo anno di pandemia si è ulteriormente aggravata. L’erogazione dei servizi sanitari di base in ospedale, è stata messa a dura prova dal lockdown con i pazienti che accedevano in ritardo alle cure mediche per paura del contagio, raggiungendo così l’ospedale in condizioni critiche, molte delle quali richiedevano trasfusioni di sangue di emergenza.

Grazie al supporto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), l’ospedale di Kalongo ha ricevuto sacche di sangue e altro materiale necessario per le trasfusioni di emergenza e salvavita. Questo sostegno rientra tra gli sforzi dell’ufficio regionale dell’AICS Nairobi per aiutare i sistemi sanitari locali nella Regione che, nelle circostanze straordinarie provocate dalla pandemia Covid-19, hanno dovuto affrontare difficoltà crescenti nel fornire una risposta più efficace e tempestiva.

Se in condizioni normali l’ospedale di Kalongo si affida alla banca del sangue Gulu per le trasfusioni, la chiusura di scuole e università durante la pandemia ha creato un improvviso vuoto nella disponibilità di sangue che ha pesantemente colpito l’intero Paese, essendo gli studenti la principale fonte di donazioni di sangue. La carenza di sangue ha conseguenze letali, in particolare per i pazienti pediatrici sotto i 5 anni e in caso di complicanze ostetriche. In questa situazione di emergenza, l’ospedale ha dovuto fare affidamento sul prelievo di sangue locale per salvare i pazienti la cui vita dipende proprio dalle trasfusioni di sangue.

Grazie all’AICS Nairobi ha ricevuto sacche di sangue, reagenti, siringhe, test di screening e altro materiale necessario per le donazioni di sangue di emergenza. Un contributo importante che si unisce agli sforzi che la Fondazione porta avanti quotidianamente per garantire quotidianità alle cure dell’ospedale.

Passata la paura del primo lockdwon, è notizia di pochi giorni fa che il governo ugandese ha decretato un nuovo lockdown. Questo isolerà ancora una volta l'ospedale rendendo più problematico l’approvvigionamento di tutto ciò che serve ai reparti. La paura e i timori tornano, con l’affanno di riuscire a salvare più vite possibili, perché oltre alla pandemia sono arrivate le piogge e con esse anche immancabilmente la malaria …

Non lasciamoli soli. Grazie per quello che potrete fare!

E’ stata un’occasione che ha ridotto le distanze con Kalongo, in un momento difficile per il mondo intero, che ci ha permesso di ascoltare racconti di vita quotidiana dalla viva voce di chi ogni giorno ‘vive la routine’, come loro stessi la definiscono con grande forza e resilienza, … di certo una routine molto diversa da come noi la possiamo immaginare.

Per chi non avesse potuto partecipare al nostro evento online di giovedì 27 maggio, in diretta da Kalongo con la dr.ssa Carmen Orlotti e il dr. Tito Squillaci , qui potete ascoltare la registrazione delle loro testimonianze.

 

 

Janneth Aketo lavora all’ospedale di Kalongo dal 2014, grazie al contributo della Fondazione Ambrosoli ha conseguito prima il certificato  e poi il Diploma in ostetricia alla St Mary Midwifery School di Kalongo.

Janneth non ha avuto un’infanzia facile, ottava di dieci figli è rimasta orfana di padre da bambina. La piccola attività agricola della madre non bastava a pagare l’istruzione di tutti i figli, i quali già da piccoli si adoperavano in piccole attività per contribuire al sostentamento della famiglia.

Scelse di diventare ostetrica da bambina, ascoltando la storia che la madre le raccontava del momento della sua nascita. A causa di una complicanza al parto la mamma di Janneth subì una paralisi temporanea ma sopravvisse grazie all’intervento di un’ostrica qualificata.

Ed è proprio il desiderio di diventare ostetrica per salvare il maggior numero di mamme unito alla sua forte volontà, che le hanno permesso di raggiungere tutti i suoi traguardi.

Oggi è l’attuale responsabile del reparto di maternità di Kalongo.

 

Le abbiamo chiesto di condividere con noi la storia di una mamma che ha aiutato a partorire.

Tra le tante ha scelto la storia di OJ, una giovane donna all’ottavo mese di gravidanza, ricoverata a Kalongo perché fortemente anemica. Dopo due settimane di cure l’anemia era molto migliorata e OJ è entrata in travaglio. Il parto naturale è andato bene e OJ ha avuto un maschietto di 3,2 Kg.

Sfortunatamente, dopo la nascita del bambino, la placenta non è stata espulsa causando una grave emorragia, molto pericolosa per una persona già anemica. Janneth è intervenuta immediatamente, classificando il caso come un’emergenza ostetrica. Ha subito ordinato l’osservazione costante di tutti i parametri vitali della mamma, le ha somministrato i farmaci necessari e proceduto con la rimozione manuale della placenta. A seguito dell’espulsione della placenta l’utero si è contratto e l’emorragia è via via diminuita. Sono stati dimessi in buona salute dopo alcuni giorni in osservazione, con la richiesta di tornare in ospedale per il follow up in reparto ginecologico.

Janneth sa bene che senza l’ospedale e l’assistenza di ostetriche ben preparate moltissime donne come OJ rischierebbero di perdere la vita nel dare la luce i loro bambini, per questo ci dice, è felice di essere ostetrica e di lavorare a Kalongo.

E’ l’insegnamento e il monito che ci ha lasciato Padre Giuseppe con l’ospedale di Kalongo e la scuola di ostetricia che come Fondazione portiamo avanti ogni giorno, continuando a promuovere la formazione medica e manageriale locale, con un focus specifico sulla formazione umana e professionale delle donne, grazie anche al lavoro di tanti medici volontari che prestano la loro opera all’ospedale. Come il Dr. Tito Squillaci, primo medico italiano a rientrare in ospedale dall’esplosione della pandemia e che lavorò al fianco di padre Giuseppe nel 1984.

 “Questa mattina, parlando alle studentesse, ho indicato la data incisa sull’ingresso della scuola di ostetricia, 1956. Ho detto loro che quell’anno, così lontano, aveva segnato la nostra vita. Tutti noi, dai vari angoli dell’Uganda e dall’Europa, eravamo lì perché un uomo con lo sguardo al futuro si era preoccupato di preparare una schiera di donne capaci di lavorare per le donne e per il loro bene più prezioso: i loro bambini. Padre Giuseppe aveva realizzato l’ideale di Daniele Comboni, “Salvare l’Africa con l’Africa”, e aveva compreso che le donne sono il motore più potente della società africana. Tutto questo appare chiaro quando si osserva il percorso, non solo professionale ma anche psicologico, che le studentesse compiono: all’arrivo spaesate e intimidite, alla fine professioniste preparate e sicure di sé, capaci di prendere in mano la sorte di una mamma e di intervenire con competenza.

La maggior parte di loro proviene da aree rurali, nelle quali la donna è ancora soggetta a forti condizionamenti, il loro percorso di studi diventa pertanto percorso di emancipazione, ed esse stesse diventano esempio di cambiamento e di progresso per le altre donne.

Padre Giuseppe, che sapeva bene cosa significasse partorire senza nemmeno un’ostetrica, durante la guerra civile, pur consapevole dei rischi per la propria vita decise di non lasciare l’Uganda: lo fece per salvare la scuola per le ostetriche, perché non s’interrompesse l’opera di formazione di una figura così importante, ma anche di una nuova coscienza civile. E oggi la scuola c’è”.

Tito Squillaci, Kalongo marzo 2021

 

Oggi più che mai la scuola e l'ospedale hanno bisogno di un supporto regolare e costante per riuscire a svolgere con continuità le proprie attività di formazione, fondamentali per offrire ogni giorno assistenza e cure qualificate. Grazie a quanto ci sostengono e continuano a darci fiducia!

CARI AMICI,
l’anno che è passato è stato drammatico, ma anche unico nell’offrirci nuove opportunità come quella di intensificare la relazione
con voi in un momento di paura e di solitudine per ciascuno di noi. Non vi nascondo che con il propagarsi della pandemia abbiamo
temuto di non riuscire a mantenere gli impegni presi con l’ospedale e la scuola di ostetricia.

La vostra risposta così pronta e concreta in un momento così incerto ci ha sorpreso ancora una volta.

È grazie a voi se siamo intervenuti con tempestività per sostenere l’ospedale nel far fronte alla pandemia e per fare in modo che nessuna attività medica fosse interrotta. È grazie a voi se nonostante inevitabili difficoltà siamo riusciti a portare avanti i progetti in corso, completando il nuovo reparto d’isolamento della pediatria, il blocco dei servizi igienici e le nuove cucine dedicate al reparto: interventi essenziali per migliorare il benessere dei bambini costretti a periodi di isolamento.

Sono proseguiti verso l’ultimo anno di cantiere i lavori di ristrutturazione degli alloggi per il personale ospedaliero, la cui presenza continuativa è oggi ancora più importante.

Purtroppo, a questi risultati concreti si affiancano gli effetti indiretti ma altrettanto drammatici della pandemia. Un esempio su tutti: il numero di parti in ospedale è dimezzato rispetto all’anno precedente. Moltissime donne hanno rinunciato a un parto sicuro per il timore o per le difficoltà a recarsi in ospedale, scegliendo di partorire a casa senza l’assistenza di ostetriche qualificate.

2.707 contro 4.778 parti: questo numero dimezzato racconta di parti avvenuti in condizioni estremamente rischiose per la vita delle mamme e dei loro bambini. Il personale ospedaliero si sta impegnando a rafforzare strumenti e strategie per promuovere la salute nei villaggi tra chi non ha accesso ai servizi sanitari di base. Pur continuando a prendersi cura delle quasi 50.000 persone che ogni anno si rivolgono all’ospedale.

La nostra forza nell’essere al loro fianco è la fiducia reciproca che da sempre distingue il rapporto tra la Fondazione e voi che ci sostenete. Quel filo rosso che lega noi e voi a Kalongo e ci permette di portare avanti con coerenza e serietà la testimonianza di bene che padre Giuseppe Ambrosoli ci ha lasciato. Perché l’ospedale resti un punto di riferimento concreto e sicuro per tutte le migliaia di persone che da oltre 60 anni vi si affidano.

Giovanna Ambrosoli

Partecipa al nostro web talk, il 6 maggio ore 18.00.

Un modo per ritrovarci in questo momento in cui la distanza ha rallentato tutto. Una serie di web talk in cui fare quattro chiacchere in compagnia di esperti su svariati temi che possono rallegrare le vostre giornate e far riscoprire le vostre passioni.

Cominciamo con i fiori. Durante la LIVE avrete la possibilità di farvi ispirare e fare tutte le domande che vorrete al nostro esperto! L’architetto Erica Ratti, specialista in garden design di Rattiflora. Azienda familiare con sede nella splendida cornice del lago di Como, che opera da quasi 80 anni nella progettazione di giardini e studio di allestimenti floreali e ha portato la creatività italiana nel mondo. I fiori di Rattiflora hanno arricchito anche le scenografie di matrimoni di molte celebrità, come Boris Becker, Borromeo- Elkann, Jennifer Lopez, Madonna e Wayne Rooney.

Per rallegrare le tua giornate, riscoprire la tua passioni e, se vuoi, fare del bene a sostegno dell'ospedale di Kalongo.

Ti aspettiamo e se puoi porta un amico!

#UnfioreperKalongo

I fondi raccolti sosterranno il reparto di maternità che accoglie e assiste circa 3.000 mamme ogni anno.

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