"Amo molto lavorare in sala parto, ma i primi tempi non sono stati facili. Adattarsi a un ospedale con risorse limitate non è semplice: il modo di lavorare è diverso, e alle difficoltà pratiche si aggiungono quelle linguistiche e culturali. All’inizio è stato, in un certo senso, uno shock culturale. Ci sono aspetti della loro cultura che ho faticato a comprendere, come ad esempio il modo di affrontare la morte. Vivono tutto in modo molto pacato, silenzioso, come se non provassero dolore. Ma con il tempo ho capito che semplicemente il loro modo di vivere il lutto è diverso dal nostro, ma ciò non significa meno doloroso.
In sala parto le ostetriche sono severe con le pazienti, molto pragmatiche. All'inizio facevo fatica, considerando quanta attenzione diamo nelle nostre sale parto all'aspetto psicologico. Ma oggi capisco che questa loro apparente severità nasce dalla necessità di fare tutto il possibile, con i pochi strumenti di monitoraggio di cui dispongono, per garantire un parto sicuro alle donne e salvare la loro vita e quella del bambino.
La vera forza di Kalongo credo sia proprio nelle persone che lavorano qui. Fanno turni pazzeschi perché sono poche. Lavorano tantissimo e con risorse scarse, ma la maggior parte non si limita a considerare il proprio lavoro come un’occupazione. Sono profondamente legati alla storia dell’ospedale e al suo fondatore. È come se il loro lavoro fosse più di un semplice lavoro. Credono che ci sia qualcosa di più dietro a tutto questo".
Giulia Fedrizzi, ostetrica volontaria a Kalongo